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05.04.2009 - "Cgil, perchè non ero in piazza" - La Gazzetta del Mezzogiorno

05.04.2009

"Cgil, perchè non ero in piazza"

Lettera di Francesco Boccia al Direttore de La Gazzetta del Mezzogiorno apparsa il 5 aprile 2009

Caro direttore, non sono andato al corteo della Cgil a Roma e non parteciperò a nessun'altra manifestazione sindacale. E questo non perchè io neghi che il sindacato sia uno dei pilastri della democrazia, anzi: riconosco alle organizzazioni dei lavoratori un ruolo che va al di là della semplice difesa delle tutele per occupati, pensionati e disoccupati. Ma nello stesso tempo, penso che un grande partito riformista di sinistra debba fare dell'autonomia dalle organizzazioni sindacali e datoriali un valore irrinunciabile per avere la forza di proporre una propria agenda politica basata sull'universalità dei diritti e, aspetto non secondario, per difendere indirettamente la credibilità delle organizzazioni stesse.

Credo che questa grande crisi abbia mandato all'aria un vecchio modo di fare politica e anche una logora contrapposizione fatta di steccati più che di idee innovative. E poichè penso che stiamo vivendo uno dei momenti più difficili nella storia dell'umanità e che in autunno la pace sociale possa deflagrare sull'onda della mancanza di lavoro, pane e sicurezza, sostengo l'esigenza che il sindacato innanzi tutto e la classe politica nel suo complesso, pongano al vertice della loro agenda il problema dei problemi: l'universalità dei diritti legati al soddisfacimento dei bisogni. A tutti i cittadini lavoratori e non, devono spettare automaticamente ed in funzione dei bisogni, i medesimi sostegni. Senza l'intermediazione di qualcuno: nè dei partiti, nè dei sindacati, nè dei vari gruppi di pressione. Sui diritti, il rapporto é tra Stato e singolo cittadino. Tutti devono poter accedere a tutto.

Stiamo sul Titanic che affonda e in certi momenti mi sembra d'assistere alla disperata corsa verso le scialuppe di prima, seconda e terza classe. In realtà la barca sta imbarcando acqua e, o interveniamo subito, oppure possiamo iniziare a preparaci al peggio.

Sono tra coloro che non ritengono sia giusto speculare per motivi politici sulle tragedie in genere e su quelle nazionali in particolari. Ma mi sembra che l'azione del governo per affrontare l'attuale crisi ci stia portando dritti dritti verso un burrone. E vorrei che anche il sindacato se ne rendesse conto allargando il fronte delle battaglie e delle tutele pensando si, ai lavoratori delle grandi fabbriche e ai pensionati (meglio se si fanno battaglie nette per i tanti con le pensioni minime che non ce la fanno, ricordando con un pò di autocritica anche le centinaia di migliaia pensioni baby che continuiamo a pagare), ma nello stesso tempo facendo una battaglia emergenziale per i lavoratori delle piccole imprese e delle piccolissime comprese quelle del commercio e dei servizi, capendo che ora anche i piccolissimi datori di lavoro manifesteranno con i loro dipendenti.

E' ormai chiaro a tutti che l'attuale crisi economica è più grave di quella del '29: quando in un anno in una nazione come l'Italia il pil scende oltre il 4% per cento e quando il debito pubblico sale da 105 a 110 vuol dire che siamo in emergenza. Ciò che preoccupa maggiormente è che stiamo perdendo il sistema Italia: a settembre, o forse prima, avremo milioni di lavoratori senza il sostegno della cassa integrazione e avremo anche migliaia di piccolissime imprese chiuse. Un delitto: è proprio questa l'ossatura che rende forte l'apparato produttivo italiano ed è indispensabile che il governo la metta in sicurezza, insomma la ingessi in un sistema di protezioni temporanee che però salvino il patrimonio di brevetti, sistemi micro-industriali, persone che fanno dell'Italia la settima potenza mondiale.

In particolare occorre che il governo adotti subito un piano di sostegno al reddito dei lavoratori delle piccole e medie imprese, comprese quelle del commercio, che non godono delle misure della cassa integrazione.

Sacconi adotti misure uguali per tutti, dai lavoratori della Fiat a quelli delle aziende di provincia che in questo momento stanno licenziando migliaia e migliaia di addetti. Senza un intervento immediato, lo ripeto fino alla nausea, ci ritroveremo a settembre con una rivolta sociale dagli esisti imprevedibili. Non pretendo che questa sia la piattaforma della cgil o di un'altro sindacato, ma mi batterò affinchè lo diventi di un grande partito di sinistra riformista che ha l'ambizione di tornare a governare il Paese.

Vorrei sommessamente ricordare che il 94,9% delle aziende italiane sono "micro", hanno cioè meno di 10 dipendenti e il 4,5% ne ha meno di 50. Dunque parliamo del 99,4% del totale delle imprese, che ogni giorno sfornano idee e genialità. Unioncamere dice che nel 2008 le piccole imprese solo nel primo semestre le pmi hanno creato circa 100mila nuovi posti di lavoro (+1,5%). Le grandi aziende, invece, registravano nello stesso periodo una diminuzione del numero degli occupati pari allo 0,2%.

Il governo che fa? Prima salva alcuni banchieri (non certo le popolari e le piccole che non avevano problemi) col cosiddetto decreto dei Tremonti Bond. Adotta la social card e il bonus famiglia, interventi a mio avviso sbagliati perchè sarebbe stato preferibile agire direttamente sulle pensioni minime e sugli sgravi fiscali per le famiglie. Infine adotta la rottamazione delle auto, ammesso e non concesso che l'italiano medio, che vede avanzare lo spettro della cassa integrazione, abbia soldi e voglia di cambiare la macchina.

Alle piccole imprese che non hanno la possibilità della cassa integrazione chi pensa? Oltre agli incentivi automatici un governo illuminato dovrebbe procedere immediatamente alla detassazione degli utili reinvestiti e al credito d'imposta sugli investimenti. Non possiamo combattere questa crisi mettendoci sotto lo stellone e aspettando che la nottata passi.

E la nottata non passa con la stucchevole propaganda di Tremonti e Berlusconi, ma rischiamo di non vedere la luce presto, se poi da sinistra ci mettiamo a fare battaglie sacrosante, ma di retroguardia politica, in un mondo che non è disposto più ad aspettarci.

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