RASSEGNA STAMPA

Far pagare i giganti del tech garantisce equità fiscale e una concorrenza leale

20.11.2017

Articoli pubblicato su L'Economia del Corriere della Sera

La portata straordinaria dell`economia digitale sul funzionamento del capitalismo globale impone una riflessione politico culturale profonda. La dematerializzazione della ricchezza necessita di un approccio radicalmente nuovo e l`intelaiatura fiscale che regola i rapporti tra i vecchi Stati nazionali, società e imprese deve necessariamente adattarsi alle nuove regole del mercato.

Una rivoluzione radicale in tutti i settori, di usi, costumi, business e stili di vita. Non era possibile chiudere il mondo quando non esisteva la rete e c`erano solo muri e filo spinato. Figuriamoci ora. Non ha più senso distinguere l`economia reale da quella digitale. Tutta l`economia oggi è digitale. Dietro il dibattito sulla web tax c`è tanto altro. Non solo equità, etica e modelli redistributivi che in un Paese democratico si garantiscono anche con una coerente architettura fiscale, ma anche privacy, sicurezza, informazioni, regolazione del commercio.

Si chiama «Data Economy». Dati che valgono oro. La cosiddetta web tax non era e non è una nuova tassa ma il semplice riconoscimento di regole fiscali già applicate a tutti gli altri. In Italia l`avevamo approvata già nel 2013, poi Parlamento e governo si sono fermati in attesa dell`Europa che non è mai arrivata. Alla fine ci siamo arrivati, ma solo dopo le inchieste della Guardia di Finanza e della Procura di Milano e dopo il lavoro dell`Agenzia delle Entrate.

Per la prima volta nella storia del capitalismo, ad un aumento del Pil potrebbe non corrispondere un adeguato aumento del gettito fiscale. Far pagare almeno le imposte indirette alle multinazionali del web è un dovere per assicurare equità fiscale ai contribuenti e garantire leale concorrenza agli operatori economici. A questo serve la stabile organizzazione. Fino a poco fa gli effetti non si vedevano, ora sono devastanti: perdita di gettito e perdita di posti di lavoro. Non ci si può più appellare alla libertà di scelta della residenza fiscale che porta alla «non stabile organizzazione», tanto cara ai sostenitori del «ci pensa l`Europa» o del «ci vuole una soluzione globale» senza mai indicare la strada. Quelle sono le tesi dei lobbisti (molto bravi) delle Over the Top (Ott): al tempo dell`economia digitale, anche con pochi dipendenti a mio avviso c`è stabile organizzazione.

Un possibile modello
La norma approvata lo scorso giugno e chiamata web tax transitoria indica la strada della cooperazione con il fisco, riconoscendo autonomamente la stabile organizzazione in Italia sul modello dell`accordo fatto da Google con la Procura di Milano e l`Agenzia delle Entrate.

In questi giorni il passaggio più delicato. Accanto al rafforzamento del concetto di stabile organizzazione inserito nell`emendamento alla legge di Bilancio al Senato che è per me totalmente condivisibile, c`è una proposta di tassazione delle transazioni che suscita alcune perplessità. L`obiettivo è giusto, l`applicazione merita un approfondimento. Se fosse pagata anche da aziende italiane non coglierebbe l`obiettivo originario della web tax: l`allineamento della tassazione tra Ott e aziende italiane.

Capire se tassare flussi, transazioni o ricavi necessita di un`ulteriore riflessione parlamentare. Intanto, chiediamo alle Ott, quando fanno business in Italia, di rispettare le stesse regole che rispettano le imprese italiane. Sapendo che, sullo sfondo, la sfida digitale ci porta già oltre la web tax, tra portabilità dei dati e necessità di cloud pubblici.

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