RASSEGNA STAMPA

I giganti del web ammettono di avere casa in Italia. Il governo acceleri sulla legge o perdiamo miliardi di entrate

05.05.2017

Intervista rilasciata a Elena Polidori, pubblicata su QN

ROMA «L'accordo fatto con Google può essere considerato di svolta - ammette il presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia (Pd) - perché, accettando la proposta dell' amministrazione fiscale, Google ha ammesso di avere stabile organizzazione in Italia, questione che prima veniva negata e che costituiva il vero nodo a cui era legato l' intero contenzioso. Stiamo parlando di un colosso che ha ammesso di essere anche un po' italiano».

Una svolta, Boccia? «Senza dubbio. Ma non dobbiamo perdere questo momento, dobbiamo aprire una fase nuova. Ci sono i margini per inserire una norma transitoria che faccia pagare le imposte ai giganti del web già in questa manovrina, come ha ammesso lo stesso ministro Padoan in commissione Bilancio. Per quanto mi riguarda, comunque, non è abbastanza».

Se fosse inserita questa norma nella manovra, quanti soldi farebbe entrare nelle casse dello Stato? «Su una base imponibile stimata di 32 miliardi di euro (per il complesso dei colossi del settore, ndr), si potrebbe trattare di 4-5 miliardi di euro l' anno. Ma bisogna avere la legge, altrimenti tutto è più complicato: Google alla fine ha capitolato solo perché la Procura di Milano con la Guardia di Finanza e l'Agenzia delle Entrate hanno fatto un ottimo lavoro. Ma non si può, tutte le volte, premere verso queste multinazionali dicendo 'se non paghi, ti mando la Finanza' e poi la Procura apre un fascicolo penale. Deve esserci qualcosa di oggettivo che codifica quanto e come devono pagare nel nostro Paese per fare business. D'altra parte, ormai è oggettivo che anche Amazon, ma non solo, ha stabile organizzazione in Italia: ha qui i magazzini, gestisce personale e fa concorrenza alle nostre imprese perché non paga l' Iva e altro».

In concreto, quale sarebbe la proposta da fare alle multinazionali web? «Dire: 'visto che fai business in Italia, paghi le imposte indirette (e altro) qui da noi, poi pagherai quelle dirette nel luogo dove hai la sede fiscale'. Amazon, però, continua a sfuggire, solo per fare un esempio di chi ancora si aggrappa ai dettagli sulla 'sede' pur di non pagare».

Ma non sono solo le multinazionali che sfuggono, anche il Parlamento è stato tentennante... «Vero. D'altra parte, il capitalismo che ha trasformato la catena del valore del prodotto è un fenomeno degli ultimi anni; prima solo in pochi si rendevano conto di quanto fosse pretestuoso sostenere che un colosso web non avesse stabile organizzazione in Italia in quanto privo di una sede 'fisica'. Nel web, per avere una stabile organizzazione basta anche una sola persona che sta a casa sua. Ora c'è una maggiore consapevolezza, anche sul fronte politico, e questo accordo ci pone davanti a una scelta che potrebbe assicurare un gettito fiscale ordinario importante. Anche per questo motivo, condivido la decisione del ministro Padoan di portare il tema web tax al tavolo del G7 dei ministri finanziari che si terrà la prossima settimana a Bari».

La sua prima proposta di web tax fu bocciata anche perché Renzi non voleva problemi con l'Europa e con Juncker, soprattutto «Non era solo quello. Dico che oggi, tuttavia, il cambiamento di rotta in Europa va caldeggiato, ma noi dobbiamo muoverci in autonomia, stimolando l'interlocuzione preventiva tra amministrazione finanziaria e contribuenti da ricavi consolidati di miliardi di euro».

Il M5s votò a favore della prima web tax, ma poi Casaleggio li scomunicò. Secondo lei, hanno cambiato idea? «Al momento sono silenti, ma devono decidere una volta per tutte se stanno dalla parte dell' Italia o da quella delle multinazionali. Con l'accordo che è stato fatto, Google diventa anche italiana. Spero lo capiscano anche loro».

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